Prof. Alberto Roggia

Le terapie iniettive “mirate “ nelle fibrosi dei corpi cavernosi

Hanno il grande vantaggio di potere portare il farmaco in modo preciso e direttamente sulle zone fibrotiche che sono presenti sulla albuginea dei due corpi cavernosi o nel setto intercavernoso.

Terapia effettuata ambulatoriamente , sempre ben tollerata, con minimo dolore  di pochi minuti (come una puntura di spillo) , in quanto viene effettuata una preventiva anestesia locale con gel anestestico  sulla cute prepuziale, utilizzando aghi sottili per la iniezione.

 

 

Con tale modalità di cura , nell'ambito sempre di terapie multimodali,  si vuole mirare e cercare di  ottenere essenzialmente i seguenti quattro  obbiettivi terapeutici :

  1. disattivare, cioè “spegnere” la  infiammazione,  e quindi bloccarne la evoluzione : infatti il processo infiammatorio è sempre la principale causa  ( generata da ripetuti microtraumi peraltro asintomatici sulla tunica albuginea , oppure  cause autoimmuni ) che ha determinato la formazione delle aree fibrotiche che si formano a carico della albuginea, chiamata anche “tonaca albuginea”  che è una specie di  membrana che ricopre ed avvolge i due cilindri di tessuto erettile cioè i corpi cavernosi,  oppure talora  anche a carico del setto mediano inter-cavernoso  che separa i due corpi cavernosi. Bloccare la evoluzione della infiammazione è pertanto uno degli obbiettivi  fondamentali della strategia di cure multimodali da adottare nella fibrosi dei corpi cavernosi o del setto intercavernoso:  cioè in pratica il primo passo da prendere  è cercare di fermare la patologia , che altrimenti , se non venisse tempestivamente curata, ha sempre un andamento progressivo evolutivo  sia pure con periodi di quiescenza,  ma spesse volte  alternati a rapide riaccensioni.    Infatti  la infiammazione, se non curata,  ad un certo punto si  “stabilizza e cronicizza” evolvendo in un processo cicatriziale-cheloideo .

  2. ridurre la produzione di tessuto collageno ,  e  contribuire a diminuire le dimensioni delle  suddette aree  fibrotiche, che vengono rilevate  nella visita andrologica e successivamente  valutate nelle loro esatte dimensioni (lunghezza, larghezza e  spessore ) mediante  ecografie specifiche .

  3. migliorare nel contempo le fibre elastiche della albuginea e del setto intercavernoso e pertanto migliorare la viscoelasticità di tali zone fibrotiche , che hanno sempre valori nettamente alterati di elasticità, e con ciò indicanti pertanto la presenza di una rigidità patologica che è misurabile in Kpa .  Infatti tali aree fibrotiche , molte volte multiple  e non come unico focolaio ( perchè la patologia fibrotica è spesso purifocale) hanno una scarsa elasticità e espansione,  impedendo di conseguenza  la normale tumescenza del pene  e pertanto favorendo il deficit erettile.  Il valore di Kpa misurato in corrispondenza della aree fibrotiche è infatti generalmente superiore a 20-25 , potendo raggiungere anche valori di 70-100-130.

  4. migliorare la circolazione vascolare dei corpi cavernosi, sia quella arteriosa che quella venosa.  Infatti frequentemente gli  esami specifici che verranno consigliati dallo specialista andrologo potranno rilevare un ridotto afflusso di sangue arterioso , oppure  un accelerato e troppo rapido deflusso,  noto come “fuga venosa”, che comporta al paziente un difficoltoso mantenimento della rigidità o tumescenza.

In particolare si segnala come tali farmaci , iniettati peri-aree fibrotiche oppure intra-aree fibrotiche,  sono sempre posizionati sotto la faccia anatomica di Buck, per cui  rimangono “trattenuti” nello spazio anatomico esistente  tra la tonaca albuginea e la suddetta fascia di Buck ,  che è la fascia del pene rappresentata da una membrana che a guaina circonda i due corpi al di sopra ed esternamente alla albuginea stessa, è ciò spiega la loro efficacia non solo terapeutica,  ma pure “preventiva di un processo infiammatorio/fibrotico “  che potrebbe successivamente  interessare anche altre zone di albuginea per ora ancora sane e non colpite dalla infiammazione :  pertanto in sintesi la membrana o fascia di Buck è una barriera  anatomica che fa in modo di impedire che i farmaci iniettati  vengono  rapidamente diffusi e dispersi nell'organismo e ciò comporterebbe la perdita  della loro  efficacia  terapeutica.  
Lo specialista andrologo (dopo aver indicato al paziente in un preciso Consenso Informato gli scopi della terapia , le varie opzioni terapeutiche ed  i possibile effetti indesiderati ) consiglierà , se ne ne esistesse il bisogno, le terapie  iniettive spiegando pure se, nel caso clinico specifico,  la iniezione del farmaco viene programmata nel contesto dell'area stessa  fibrotica ( iniezione= “intra- aree fibrotiche ”) oppure  a  contatto della area fibrotica sia quando localizzata alla albuginea che al setto intercavernoso ( iniezione “peri-aree fibrotiche “) : in quest'ultima modalità , cioè iniezione “a contatto “ delle aree fibrotiche,  il farmaco che è  sempre posizionato sotto la fascia di Buck, viene trattenuto dalla fascia stessa e viene pertanto ad agire terapeuticamente su  tutta la albuginea dei  due corpi cavernosi e penetra anche nello spazio intercavernoso occupato dal setto omonimo. 
Inoltre è' bene subito precisare che  non si verificano effetti collaterali negativi a carico dell'organismo da parte dei farmaci iniettati (come ad esempio cortisonici o verapamil, o altre molecole) appunto perchè la fascia di Buck li trattiene a contatto della albuginea e delle aree fibrotiche ed impedisce la loro diffusione nel corpo.

I farmaci utilizzabili come terapia iniettiva ,sia “peri-area fibrotica “ sia  “intra-area fibrotica “,  sono vari e verranno consigliati dallo Specialista valutando il singolo caso clinico:  i più utilizzati sono generalmente il cortisone (per la sua specifica azione anti-infiammatoria )   ed  il verapamil ,  mentre la collagenasi iniettata   intra-placca ha sue indicazioni ben precise nella Induratio Penis Plastica (si consiglia al lettore di accedere ad apposito articolo in questo sito).

La terapia iniettiva con farmaci “localizzata e focalizzata” sulle aree fibrotiche ( sempre ovviamente associata a varie terapie  farmacologiche per via orale e /o terapie fisiche)  ha un ben preciso scopo indicato negli obbiettivi sopra descritti, ma è un trattamento decisamente utile quando  la patologia , sempre insorta su base infiammatoria, è ancora in fase “attiva e pertanto evolutiva”,
mentre non sarà efficace se il processo infiammatorio si è cronicizzato cioè quando si ha la “stabilizzazione”del processo infiammatorio che evolve  in un processo cicatriziale-cheloideo. 

Le terapie definite “locali mediche” prevedono la possibilità di somministrazione dl farmaco attraverso due possibili vie e metodiche:

  1. via transdermica mediante ionoforesi/iontoforesi : è una tecnica di somministrazione farmacologica (come cortisone, verapamil ,   ecc.) che consente il trasporto e la penetrazione , attraverso la cute, di molecole ionizzate mediante la creazione di un campo elettrico con appropriata polarità, utilizzando corrente galvanica  e sedute di circa 15-20 minuti.  E' certamente una terapia indolore , ma i risultati sono decisamente inferiori  a quelli ottenibili con le terapie effettuate  per via iniettiva in modo “mirato” sulla aree patologiche fibrotiche.

  2. terapia iniettiva mirata “ sulla area fibrotica “ :  si è dimostrata essere  decisamente più efficace  rispetto alla   ionoforesi /iontoforesi .  Infatti  la  ionoforesi /iontoforesi  non  consente di portare il  il farmaco  in modo elettivo e preciso , cioè “mirato” , su una ben precisa area fibrotica , e a maggior ragione sul setto intercavernoso,  così come avviene invece con la iniezione, ed  inoltre più difficilmente raggiunge le aree fibrotiche in una corretta ed efficace  concentrazione terapeutica rispetto sempre a quanto si ottiene con le terapie iniettive.   La terapia iniettiva invece consente di posizionare in modo preciso il farmaco sulle  zone di fibrosi identificate dalla ecografia, sia quando localizzate alla albuginea  che al setto divisorio intercavernoso :   la anestesia locale di contatto con gel anestetico consente di ridurre al minimo il dolore della iniezione effettuata con aghi sottilissimi (una puntura di spillo, che scompare nel giro di 2-3 minuti). Si utilizzano generalmente i cortisonici  ( esempio  desametasone,  idrocortisone, prednisolone ecc...)  cha hanno  la funzione specifica di disattivare o “spegnere “ il processo infiammatorio che è alla base della patologia che sarebbe altrimenti evolutiva oppure  altre molecole come il verapamil  che consente (agendo sui fibroblasti inibendone la formazione di collagene) nel contempo di migliorare la elasticità e ridurre gradualmente  le dimensioni delle  aree fibrotiche. 

Purtroppo non è possibile effettuare le terapie con cortisone e verapamil o altre molecole assunte invece come  compresse per via orale, sia perchè occorrerebbero cure di lunga durata di tempo, sia perchè soprattutto non si potrebbe raggiungere la area fibrotica in buona concentrazione tale da essere di efficacia terapeutica , e sia pure , e ciò  è un dato non indifferente, per i  negativi collaterali che comporterebbero all'organismo stesso.

Occorre  precisare che ovviamente  le terapie nella fibrosi ,  prescritte dal Medico  Specialista sulla base dello specifico  caso clinico,   sono sempre multimodali , cioè associando in vario modo  le cure effettuabili  per via orale (cioè terapie “mediche” ) alle terapie  iniettive ed alle terapie fisiche  (esempio:  le onde urto a bassa intensità : vedi articolo apposito) al fine di ottenere il miglior risultato terapeutico.

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